L’icona è molte cose insieme. Per molti degli uomini di oggi si tratta forse semplicemente della testimonianza artistico-religiosa di un tempo e di tradizioni lontane e forse perdute. Ma se guardiamo con più attenzione l’icona, ci accorgiamo che è anche molto altro.
L’icona è un’immagine per i nostri occhi di carne, ma anche e soprattutto per gli occhi della fede: l’icona vuol essere una immagine dell’ invisibile ed educatrice della fede. Essa è dunque sottomessa ogni momento ad una duplice fedeltà: fedeltà al nostro mondo che è opera di Dio; fedeltà a Colui che nulla è in grado di circoscrivere e che non può essere ridotto ad una figura. Con mezzi terreni – forma, colore, luce – l’icona deve tradurre la realtà religiosa trascendente e, dato che il suo obiettivo si trova al di là del visibile, deve sempre lasciarsi regolare non in primo luogo da imperativi estetici, ma dalla fede e dalla Rivelazione.
L’icona è così il riflesso dell’Incarnazione; diventa luogo di una presenza. La realtà del prototipo è presente nella realtà dell’immagine. A partire da questa Incarnazione di Cristo, non soltanto l’immagine non è più vietata, come nell’Antico Testamento, ma diventa legittima e persino necessaria.l’icona nasce da questa esultanza di fronte alla possibilità della rappresentazione dell’Assoluto.
Allora si può tranquillamente affermare che ogni icona è un piccolo trattato di teologia.
E ancora si può dire che un’icona è anche il frutto della preghiera di chi la realizza e, allo stesso tempo, il frutto dell’icona è preghiera.
P. Egon Sendler